Contratto di collaborazione: che cos’è e come funziona

Conoscere la normativa e le caratteristiche di quello che viene definito contratto di collaborazione è un presupposto fondamentale per affacciarsi sull’attuale mercato del lavoro, di per sé complicato, intricato e pieno di insidie.

Con una simile premessa non intendiamo spaventarti, né tanto meno creare allarmismi; il nostro obiettivo è fornire ai giovani, e a tutti quelli che si approcciano per la prima volta ad un qualsiasi settore professionale, le giuste conoscenze per orientarsi e scegliere con consapevolezza e cognizione di causa la strada più idonea per la propria crescita professionale.

L’Università Telematica Niccolò Cusano di Bolzano ha quindi deciso di realizzare una piccola guida pratica ai contratti di collaborazione, nella quale viene fornita una panoramica sintetica, chiara e completa della forma contrattuale più discussa dell’ultimo decennio.

Cos’è il contratto cococo

Iniziamo col chiarire l’acronimo; co.co.co. sta per contratto di collaborazione coordinata e continuativa.

Wikipedia fornisce in merito la seguente definizione:

… è una forma di lavoro parasubordinato vigente nella legislazione italiana del lavoro, introdotta dal pacchetto Treu nel 1997”

Il sito della Treccani lo definisce così:

“Tipologia di rapporto di lavoro che non instaura una relazione di subordinazione tra datore di lavoro e lavoratore e, per estensione, chi lavora con tale contratto: il COCOCO descrive, infatti, un lavoro cosiddetto parasubordinato, cioè autonomo, ma svolto con modalità analoghe a quelle rintracciabili nel lavoro subordinato”

Si tratta quindi di una forma di lavoro parasubordinato che, in quanto tale, presenta caratteristiche ibride e piuttosto ‘ambigue’, che si pongono a metà tra quelle del lavoro autonomo e quelle del lavoro dipendente/subordinato.

Caratteristiche

Analizziamo nel dettaglio quelli che sono i caratteri distintivi del co.co.co.

Oggetto del contratto è un servizio continuativo nel tempo fornito da un lavoratore autonomo ad un committente.

Il lavoratore non è un dipendente; non è subordinato al datore e gode di completa autonomia per quanto riguarda l’organizzazione dell’attività lavorativa.
E’ inserito nell’organico della struttura aziendale, dal punto di vista funzionale, e può quindi operare all’interno dei vari processi del ciclo produttivo.

Al committente spetta comunque il diritto di coordinare l’attività del collaboratore, al fine di adeguarla alle esigenze dell’impresa.

Oggetto dell’obbligazione resta comunque l’attività, e non il risultato.

La collaborazione presenta le seguenti caratteristiche:

  • autonomia del lavoratore nella determinazione delle modalità operative
  • coordinamento organizzativo con le direttive del committente
  • natura della prestazione prevalentemente personale
  • continuità della collaborazione, perdurante e continuativa nel tempo, svincolata da scadenze e/o dal raggiungimento di obbiettivi (realizzazione di progetti)

L’attività di collaborazione in analisi può essere eventualmente svolta all’interno dei locali del committente, fermo restando l’autonomia del collaboratore ad organizzarsi secondo le personali esigenze, sia per quanto riguarda i tempi e gli orari che il luogo in cui lavorare.

Nel caso in cui vengano a mancare i suddetti presupposti è prevista, secondo il Jobs Act che analizzeremo in seguito, la trasformazione del co.co.co. in contratto di lavoro subordinato.

Differenze tra co.co.co. e co.co.pro.

Prima di addentrarci nell’ambito della normativa e della relativa evoluzione è d’obbligo introdurre i co.co.pro.

Si tratta di contratti di collaborazione coordinata a progetto, ugualmente inseriti nell’ambito del lavoro autonomo.
La differenza sta nel fatto che il rapporto di lavoro, in questo caso, prevede un limite temporale, collegato al conseguimento di uno specifico obiettivo, al raggiungimento di un determinato risultato o all’espletamento di un progetto/programma di lavoro (o fase di esso).
La finalità ultima a cui è legato il contratto deve essere indicato nella scrittura attraverso la quale viene instaurato il rapporto.

In ultima analisi possiamo affermare che resta l’autonomia del lavoratore mentre diventa meno influente l’aspetto della coordinazione.

contratto cococo

Evoluzione della normativa

Come accennato dalla definizione fornita da Wikipedia il lavoro parasubordinato è introdotto dalla legge n. 196 del 25 giugno 1997, meglio nota come ‘pacchetto Treu’, dal nome dell’allora ministro del lavoro e della previdenza sociale Tiziano Treu.

Emanata con l’obiettivo di contrastare la disoccupazione, la legge rappresenta una svolta importante nell’ambito della flessibilità contrattuale.

Tra i punti cardine della normativa l’ampliamento dei margini entro i quali instaurare rapporti di lavoro interinale (lavoro a tempo determinato).

Legge Biagi – 2003

Il 2003 segna la nascita dei co.co.pro. e il relativo sdoppiamento dei contratti di collaborazione coordinata.

Il Decreto Legislativo 276 del 2003, noto come Riforma Biagi, ha nel contempo ridisciplinato le collaborazioni coordinate continuative (cococo) limitandone l’applicazione alle seguenti figure professionali e circostanze:

  • personale della Pubblica Amministrazione
  • pensionati di vecchiaia che svolgono attività lavorativa
  • profili operanti presso società e associazioni sportive riconosciute dal CONI
  • amministratori e membri facenti parte degli organi di controllo delle società
  • rapporti di lavoro nei quali figurano professionisti iscritti ad albi e registri
  • casi previsti dai CCNL

Al di là delle casistiche appena elencate, nelle quali permane la possibilità di stipulare cococo, questi ultimi restano comunque il modello originario sul quale, con qualche variante, sono stati introdotti i cocopro.

La collaborazione a progetto è, anche dal punto di vista giuridico, una tipologia contratto di collaborazione continuativa, anche se legata a un risultato/programma di lavoro.

Legge Fornero – 2012

La legge 92 del 2012, conosciuta anche come ‘riforma del lavoro Fornero’ ha introdotto ulteriori requisiti per le collaborazioni a progetto.

In particolare la normativa ha imposto l’obbligo di indicare il progetto nel dettaglio, includendo nelle specifiche anche la durata e l’obiettivo finale.

In altre parole la modifica alla previgente disciplina  risiede nel fatto che il progetto deve essere funzionale al raggiungimento di un determinato risultato finale. Non può quindi essere identificato semplicemente nell’oggetto sociale dell’azienda né può prevedere un’operatività meramente esecutiva o ripetitiva.

Jobs Act – 2016

L’ultimo atto delle forme contrattuali a collaborazione coordinata è identificabile nel Jobs Act del governo Renzi.

Il decreto cancella di fatto e in maniera esplicita i contratti a progetto e allo stesso tempo riordina la disciplina relativa ai co.co.co. Questi ultimi possono essere ancora applicati ma nel rispetto delle ulteriori limitazioni stabilite dalla nuova legge.

In particolare viene ricondotta a lavoro subordinato qualsiasi tipologia di collaborazione che non risulti effettiva e volontaria anche per il lavoratore; tutti i rapporti di lavoro che prevedono collaborazioni individuali continue ed etero-organizzate rientrano nel lavoro dipendente, e come tale devono essere inquadrate. Fanno chiaramente eccezione le specifiche casistiche previste dalla legge o derogate dai contratti collettivi.

Sintetizziamo di seguito le circostanze per le quali è ancora applicabile la contrattualizzazione a collaborazione:

  • collaborazione coordinata e continuativa autentica e genuina entro i limiti prescritti dagli indicatori di presunzione della subordinazione.
  • i casi previsti dalla legge per i quali sono derogati anche gli indicatori di subordinazione.

Per quanto riguarda il lavoro autonomo cambia poco, a parte il fatto che gli indicatori di subordinazione consentono la contestazione in caso di collaborazioni non genuine.
Capita spesso che alcuni ‘furbetti’, piuttosto che trasformare i collaboratori a progetto in dipendenti, optano per la più conveniente soluzione che obbliga il lavoratore all’apertura della Partita Iva.

Co.co.co non genuine

Il Jobs Act definisce con maggiore chiarezza i confini entro i quali rientrano i contratti in oggetto.

Il presupposto per l’applicabilità è riconducibile al concetto di genuinità, in mancanza del quale la collaborazione coordinata e continuativa non può più essere considerata tale, ma rientra a tutti gli effetti nel lavoro subordinato.

Il rapporto non è genuino quando:

  • la prestazione è continuativa e personale (non prevede l’ausilio di altri soggetti).
  • l’organizzazione operativa del lavoro è imposta dal committente, per cui il lavoratore è tenuto a rispettare orari e a svolgere l’attività presso una specifica sede.

In altre parole quando le modalità di coordinamento sono stabilite unilateralmente dal committente, e quindi senza un accordo comune con il collaboratore, quest’ultimo è da considerarsi un dipendente.


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